Coltivare un sano rapporto tra scrittor* e lettor*

Consigli, Scrittura

I social possono essere uno strumento essenziale per chi volesse scrivere ed essere lett* in questi ultimi anni: è un modo molto efficace per farsi conoscere ancora prima della pubblicazione e raggiungere un pubblico di lettor* senza la presenza di molti filtri. Tuttavia, se può avere molti pro, entrare a gamba tesa nel mondo dei social da scrittor* può anche presentare diverse sfide.

Quante volte abbiamo sentito di quell’autor* che su twitter ha risposto in modo molto piccato a un tweet di un utente che parlava dei suoi lavori? Quante polemichette sono nate su instagram o su tiktok che hanno come protagonist* un* scrittor* che si scaglia contro un* lettor*?

Personalmente in questo momento sono un po’ a metà tra i due mondi: sono una lettrice, ma sono anche una scrittrice in attesa di pubblicare; sono, a tutti gli effetti, in una posizione particolare che mi permette di osservare ciò che succede da una parte e dall’altra in modo piuttosto oggettivo, senza essere coinvolta emotivamente, e quello che vedo è una relazione in cui il potere è molto sbilanciato.

Chi scrive è l* creator*, chi legge fruisce di ciò che l* scrittor* ha creato: può fare sua l’opera, può avere degli headcanon e scrivere fanfiction, può criticarla o elogiarla ma alla fine dei conti resta una relazione che, messa su una bilancia, è sempre sbilanciata in favore di chi scrive. In tutto questo il ruolo dei social è accorciare le distanze, e le distanze accorciate in una relazione di questo genere possono essere fonte di problematicità che chi scrive (visto che è la persona con più potere nella relazione) deve assicurarsi di evitare a tutti i costi.

Ecco qualche consiglio per entrambe le parti, per coltivare un rapporto (più) sano. Ovviamente la parte dedicata a chi scrive sarà più nutrita proprio perché, essendo la persona con più potere in questa relazione, ha anche più responsabilità.

PER TE CHE SCRIVI: le opinioni negative di chi legge sul romanzo, su di te come scrittor*, sul genere che scrivi sono valide

Lo so, lo so: i tuoi romanzi, car* scrittor*, sono la tua prole. Dentro di essi hai riversato le tue ambizioni, le tue emozioni, i tuoi valori, le tue speranze, e dopo tanto lavoro ti devi pure sorbire la recensione a una stella del* signor* nessuno che si permette di criticare il tuo duro lavoro??

…ho una notizia per te: sì, è proprio così. Incassare fa parte di questo mestiere. Le recensioni negative, anche quelle più insensate, fanno parte di questo mestiere, perché non si può piacere a tutt* e al contrario tutt* hanno diritto alla loro opinione. Non significa ovviamente che quell’opinione, per quanto valida, sia la verità, ma tant’è.

La scelta corretta davanti a un’opinione negativa è solo una: decidere che questa non intaccherà la tua sicurezza e il tuo orgoglio nel lavoro che hai fatto, e ignorarla. Scrivi pure quel paragrafo pieno di insulti, ma non schiacciare invio; urla la tua frustrazione dentro a un cuscino o sfogati con persone fidate, non sui social; recita il tuo discorso infervorato in difesa della tua opera davanti allo specchio nel tuo bagno, non pubblicamente.

Lo so, lo so: non è per nulla facile. Ho ricevuto la mia dose di commenti negativi da quando mi sono presentata sui social come scrittrice: da chi, senza nemmeno aver letto nulla di mio, mi ha detto che non posso chiamarmi in questo modo, ai commenti spiacevoli sulla mia scrittura. Quando dico che lo so, è perché lo so. E spesso non è nemmeno facile scrollarsi di dosso tutto questo, spesso ti resta attaccato come pece e te lo porti con te nonostante tu non lo voglia.

Ma in nessun caso questa frustrazione, rabbia, delusione, amarezza e tristezza, per quanto valide e comprensibili, devono essere riversate sul lettor* che quei commenti te li ha fatti. E sai perché? Perché queste cose vengono fuori. L* lettor* parlano tra di loro, fanno rete, sono solidali. E se hai dei comportamenti problematici nei loro confronti, questo si traduce in un ritorno negativo di immagine non solo su di te come persona ma anche sui tuoi libri, proprio quei libri che hai impiegato così tanto tempo a scrivere e che vorresti fossero amati.

Newsflash: una recensione negativa può anche far decidere a chi la legge di voler verificare in prima persona (e quindi leggere il tuo libro); un tuo comportamento problematico nei confronti di chi legge no: ti marchia.

PER TE CHE LEGGI: pratica l’empatia

Tu che leggi, come detto prima, hai il diritto sacrosanto di esprimere la tua opinione in modo libero e genuino. Ciò che ti chiedo è di esercitare un po’ di empatia quando lo fai: per esempio, non taggare mai la persona che ha scritto il libro che hai criticato aspramente. Considera anche una cosa: l* scrittor* che vorresti prendere in giro sui social perché ha scritto un libro bruttissimo è esordiente, emergente o indipendente? In casi come questi anche solo una recensione negativa può stroncare la sua carriera sul nascere. Le tue azioni hanno conseguenze: chiediti, vuoi questa responsabilità?

Insomma, ricordati che dall’altra parte di quelle pagine, per quanto terribili possano essere, c’è una persona in carne e ossa, esattamente come te, che ha impiegato tempo ed energie per produrre il libro che hai in mano. Se, dopo esserti ricordat* di tutto questo vuoi ancora scrivere quella recensione tagliente, non c’è nessun* che ti fermerà. In fondo anche le recensioni negative hanno il loro posto nel mondo.

Tu che ne pensi?

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I corpi grassi nei libri- parte 3

Consigli, Inclusività, Scrittura

E siamo al terzo e ultimo articolo sull’argomento! Se non hai ancora letto i precedenti consiglio caldamente di farlo: trovi la prima parte qui e la seconda qui.

L’articolo di oggi vuole raccogliere per te diverse risorse che possono aiutarti a scrivere (migliori) personagg* grass* nei tuoi libri.

Premetto una cosa importante, ovvero che questa lista è solo un punto di partenza, e vorrei esortarti a cercare anche altre risorse per conto tuo. La ricerca non è mai troppa se si vuole fare una rappresentazione corretta e giusta!

Ultima nota, prima di iniziare, è che in Italia/in italiano le risorse sul tema scarseggiano molto. Ho cercato di includere testi in italiano dove possibile (spoiler: sono pochi), ma sappi che se hai la possibilità di leggere in inglese il materiale disponibile aumenta esponenzialmente.

Manuali

Puoi acquistarlo in libreria o qui.

Belle di faccia è un manuale nato dall’esperienza di Meloni e Mibelli che hanno cominciato a parlare di grassofobia sui social (e ancora lo fanno: consiglio anche di seguire il loro profilo instagram). Consigliatissimo come prima lettura e per avvicinarsi all’argomento.

Lo trovi qui.

Altra lettura indicata per iniziare è Things no one will tell fat girls di Jes Baker (che trovi anche su Storytel letto dall’autrice). Baker è una pioniera dell’attivismo grasso e il libro è perfetto anche per chi è alle prime armi.

Acquistalo qui.

Con Grass* di Manici saliamo leggermente di livello nonostante sia scritto in modo molto chiaro e lineare. Ho trovato questo agilissimo manualetto davvero mindblowing e lo consiglio assolutamente come lettura dopo uno dei manuali “base”.

Video

Questa conversazione di circa mezz’ora con Marianne Kirby, scrittrice grassa, è una sorta di introduzione/preview alla masterclass sulla scrittura di personagg* grass* che Kirby stessa ha tenuto per il sito Writing the Other, che consiglio assolutamente di consultare perché le loro risorse e i loro webinar sulla scrittura inclusiva sono incredibili. Trovi la masterclass di Kirby, che dura due ore e costa 55$, qui.

In questo video trovi un’analisi dei cliché più usati nel cinema quando si tratta di personagge grasse, partendo dal funny fat girl e allargando lo sguardo agli altri tipi di cliché che si possono trovare. Anche se si riferisce al cinema in particolare può essere una visione interessante per evitare di perpetuare cliché simili nella scrittura.

Consiglio caldamente la visione di questo video (prepara gli snack, è un’ora e 17 minuti) in cui viene affrontato l’argomento della grassofobia, spiegando anche come abbia radici nel razzismo e nella supremazia bianca, cosa che dobbiamo sempre tenere a mente.

Similarmente anche questo video (altrettanto lungo) parla di grassofobia e razzismo, con una deriva sul mondo dei fumetti e dei supereroi.

Articoli

Non ho trovato articoli in italiano che fossero specifici sulla scrittura di personagg* grass*, purtroppo, quindi come per i video saranno tutti in inglese.

Questo articolo fa una lista agile di “dos and don’ts” quando si scrivono personagg* grass*.

Anche qui trovi una lista spicciola di cose da fare e da non fare.

Questo post, di una scrittrice e lettrice grassa, parla soprattutto di libri young adult con personagg* grass* partendo dal suo punto di vista.

Trovo questo articolo, pubblicato da una scrittrice grassa specificatamente per scrittor* magr* che vogliano scrivere storie con personagg* grass*, particolarmente ben fatto. Facciamo che se sei magr* è una lettura obbligata. Alla fine dell’articolo trovi anche tre articoli linkati.

Infine questo articolo risponde alla fatidica domanda: “come descrivere personagg* grass* in modo rispettoso?”

Grazie di aver letto ❤

Spero che questa lista ti sia stata utile. Ricorda: non fermarti qui! La ricerca non è mai abbastanza se vogliamo inserire delle rappresentazioni adeguate nei nostri romanzi, e come ultimo consiglio di do quello di far visionare il tuo libro da un* sensitivity reader grass*.

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Come comunicare da scrittrice sui social?

Consigli, Scrittura

Sono sui social da parecchio tempo, ma ho cominciato a pubblicare contenuti su libri e scrittura e posizionarmi come scrittrice da circa tre anni; con questa decisione, quella di “metterci la faccia”, è arrivata anche la scelta su come comunicare e comunicarmi.

La mia parabola, il mio character arc, se vogliamo, di persona che tutti i giorni si fa vedere sui social con contenuti più o meno leggeri o impegnati, è stata abbastanza tipica: inizialmente mi sentivo un po’ rigida, non ero abituata a essere dall’altra parte dello schermo e facevo fatica a mostrarmi e parlare; poi, negli anni, la mia comunicazione è diventata sempre più naturale e io mi sono fatta vedere in maniera sempre più completa. Nulla di nuovo, forse: credo che chiunque, quando inizia, si senta un po’ un pezzo di legno; oggi però non voglio parlare di banalità stile “devi scioglierti, vedrai che pian piano ce la fai”, ma di linguaggio: sono una scrittrice in fondo, le parole e come le usiamo sono il mio pane quotidiano.

Il linguaggio che uso sui social si è modificato di pari passo con la mia trasformazione e man mano che mi sentivo a mio agio “davanti alla telecamera”, ma è importante notare che il linguaggio e il “tono” che usavo all’inizio erano un diretto riflesso di ciò che pensavo di dover usare come scrittrice sui social e nella vita per essere presa sul serio, per essere credibile, insomma, nella mia posizione improvvisamente molto pubblica.

Complice anche l’università, prima di approdare sui social (e per qualche tempo anche durante) pensavo di dover parlare in modo sempre corretto, senza espressioni gergali o abbreviazioni, con una punteggiatura immancabilmente ineccepibile, senza sbavature e imperfezioni: insomma, credevo di dover comunicare nei social ogni giorno come se dovessi dimostrare che sì, so scrivere, credetemi, lo potete vedere proprio dai miei post e le mie stories su Instagram.

La questione della credibilità come scrittrice è una che mi sta parecchio a cuore, e della quale ho parlato diverse volte sui social: che cosa mi dà il permesso o meno di chiamarmi scrittrice? Da chi devo ricevere l’approvazione per osare farlo? Che cosa può far dire a chi mi giudicherà “sì, questa è proprio una scrittrice”?

E no, non scrivo sui social come scrivo i miei romanzi: sarebbe abbastanza assurdo, in fondo, prendere una mia story su Instagram e credere che possa rappresentare davvero un buon esempio di ciò che significa leggere una mia storia. Stessa cosa per questi articoli sul blog: esistono diversi tipi di scrittura, è un semplice dato di fatto.

Insomma, più comunicavo in maniera così pubblica e social, più mi rendevo conto che se avessi continuato a parlare in modo perfetto, senza le sbavature, imprecazioni o coloriture tipiche della mia parlata “normale”, avrei continuato a dare un’immagine non veritiera di me.

Non solo: più andavo avanti, più mi accorgevo che quello standard, quello che pensavo mi avrebbe reso “credibile”, qualsiasi cosa significhi, era uno che veniva ed era riconosciuto come tale da rinsecchiti accademici boomer, ammuffiti nelle loro convinzioni arcaiche, e che la comunicazione da social è e deve essere molto diversa dalla scrittura di un romanzo; infine, che non ho nulla da dimostrare, perché i miei lavori parleranno per me.

Le storie che voglio raccontare non sono per chi crede che questo standard sia giusto, o per chi mi darebbe approvazione solo se parlassi in modo forbito: quindi perché farlo? Che senso ha? Non è meglio parlare in modo più naturale, essere me stessa e mostrare chi sono per davvero in modo da attrarre le persone giuste?

Credo che qui in Italia ci sia ancora parecchia strada da fare: l’immagine degli scrittori/le scrittrici/l* scrittor* è ancora molto da svecchiare, perché ancorata appunto a quegli standard che non possono che essere deleteri per chiunque voglia approcciarsi a questo mondo da una parte, cioè quella di chi scrive o vorrebbe scrivere, e dall’altra, di chi legge.

Quindi sì, questa scrittrice scrive in modo colloquiale sui social, usa le abbreviazioni e gli acronimi, fa errori di battitura (perché ha poco tempo e rileggere tutto mille volte per essere sicura ruba tempo ed energie) ed è, soprattutto, umana. E va benissimo così. Preferisco che sia la mia umanità a parlare, piuttosto che una versione ingessata di me confezionata per chi comunque non mi darebbe la sua approvazione.

Questa non è la prima volta che parlo di tutto questo, ma è un argomento di cui ho sempre cose da dire e in questo articolo ci sono diversi spunti che vorrei approfondire: fammi sapere se ti interessa nei commenti!

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I corpi grassi nei libri- parte 2

Consigli, Inclusività, Scrittura

La volta scorsa ti ho parlato di quella volta in cui, attraverso al mio profilo Instagram, ho chiesto alle persone che mi seguono di che cosa sentono di avere più bisogno quando si parla di rappresentazione grassa (in particolare, nei libri). Una risposta per domarle tutte (semicit.) è, molto semplicemente: avere più rappresentazione grassa nei libri, punto, perché al momento il panorama è davvero desolante, soprattutto se si considerano solo libri in italiano, ma anche putroppo in inglese. È come se…è come se il mondo non volesse vedere corpi grassi, come se fossero discriminati. Che strano, vero? (/sarcasmo)

Visto che questa serie di articoli è nata soprattutto per chi scrive, per dare una spintarella in modo che creare personagg* grass* rappresentat* in modo corretto sia sempre meno un sogno e sempre più realtà, parliamo di scrittura e consideriamo oggi questa domanda:

“Ma se voglio fare una rappresentazione corretta devo evitare a tutti i costi di inserire discriminazione grassofobica nelle mie storie?”

Per rispondere in modo completo dobbiamo prima fare un salto indietro e ragionare un po’. Come in tanti casi quando si parla di discriminazioni che le persone subiscono nel mondo reale, è necessario per prima cosa fare un esame del proprio privilegio e delle proprie ragioni per trattare tale discriminazione, perché una rappresentazione corretta e non offensiva può solo venire da un luogo in cui l’apertura, l’empatia e l’onestà sono chiare ed esplorate. Quindi come prima cosa devi chiederti:

Se sei una persona magra che non è mai stata vittima di grassofobia, perché vuoi inserirla nella tua storia?

Do per scontato in questa sede che tu abbia, prima di tutto, fatto i compiti per casa, ovvero che ti sia informat* attraverso diverse fonti su cosa significhi essere una persona grassa in un mondo che ti rifiuta, che tu abbia chiari i significati di diet culture, di grassofobia, di immagine corporea, di body positivity e body neutrality, che tu abbia studiato qualche testo scritto da attivist* sull’argomento, che tu segua qualche attivista grass*, che tu sappia riconoscere la grassofobia in tutte le sue forme: questo è il lavoro di base.

Poi viene la fase di self-reflecting in cui ti poni domande importanti come quella che dà il titolo a questa sezione. Che cosa esattamente ti spinge a voler parlare di questo argomento? È, per esempio, qualcosa che vuoi esplorare perché vuoi dare visibilità a una categoria che non ne ha? È perché in questo modo intendi combattere la tua grassofobia interiorizzata? Perché vuoi essere alleat* alla comunità grassa? Ma soprattutto, sei pront* ad affrontare eventuali conflitti interni e realizzazioni su di te e sul tuo privilegio?

Tutto questo lavoro e queste domande valgono doppiamente se sei una persona magra, ma non sono da escludere nemmeno se sei una persona grassa: non è detto che, anche se sei grass*, che tu non abbia grassofobia interiorizzata, o che tu abbia dimestichezza con il mondo della fat liberation anche se hai ovviamente esperienze dirette di discriminazione legata al tuo corpo. Nasciamo tutt* in una società grassofobica, e abbiamo diverse cose da disimparare anche quando siamo noi stess* colpiti da questo tipo di discriminazione: ci sono passata personalmente e posso attestare che è esattamente così, e non è colpa del singolo individuo.

Inserire discriminazione nella tua storia è davvero necessario?

Così come se scrivi di personaggi queer/lgbtqia+ non è necessario inserire l’omolesbobitransafobia e la queerfobia, se scrivi di personaggi grassi non è necessario inserire discriminazioni basate sulla grassofobia.

“Ma Giulia, una persona grassa fa necessariamente esperienza di grassofobia nella sua vita”, potrebbe essere il tuo controargomento.

Beh, sì, è vero: non credo che esista persona grassa che sia cresciuta e/o vissuta nei paesi occidentali che non abbia nel suo arsenale almeno una storia dell’orrore legata alla discriminazione sul suo corpo. Però, e questo è un bel però, anche se il nostro mondo è ben lontano dall’essere grassofobia-free, non è detto che chi leggerà il tuo libro abbia voglia di essere mess* davanti a questa cosa.

A volte leggiamo per evadere, ma al tempo stesso è bello vedersi rappresentat* sulla carta e sapere che possiamo essere l* protagonist* di quella (e di altre) storie, you know?

Questo ovviamente dipende da storia a storia, e da romanzo a romanzo. Non sto dicendo che devi per forza eliminare la grassofobia dal tuo libro: anzi, inserirla in modo corretto può essere catartico, un modo per denunciare quanto ancora abbiamo da fare per avere una società equa e giusta per tutt*; può essere un momento di solidarietà con chi ti leggerà (“Vedi? Anche la protagonista soffre per questa cosa, non sei sol*”). Insomma, ci sono sicuramente dei lati positivi.

Quello che ti sto chiedendo è, per ritornare al titolo di questa sezione: è necessario inserirla nella tua storia, al netto di tutto? Se sì, bene, vai pure, e assicurati di rendere giustizia a chi la grassofobia la deve portare sul groppone ogni giorno nella vita reale. Se no, invece, sappi che va bene eliminarla del tutto o quasi; sappi che le storie senza discriminazione hanno il loro perché.

Entrambe le strade sono percorribili, insomma, e la chiave è scegliere con consapevolezza quale percorrere.

E questo è quanto per oggi. Grazie di aver letto, ci vediamo nel terzo post della serie “I corpi grassi nei libri” con una serie di risorse dalle quali partire per assicurarti di fare una rappresentazione corretta dei corpi grassi e per confrontarti con la grassofobia. A presto!

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Parteciperò al NaNoWriMo quest’anno, ma continua a non piacermi

Consigli, Scrittura

Un anno fa scrivevo un articolo in cui riflettevo sul NaNoWriMo, il mese nazionale della scrittura di romanzi, e le mie considerazioni erano soprattutto negative. Puoi leggere l’articolo qui e scoprire l’unica cosa invece che mi piace di questa iniziativa a livello mondiale dedicata alla scrittura di cinquantamila parole in un mese.

A distanza di un anno mi ritrovo a pensarla allo stesso modo, ma la mia decisione quest’anno è di partecipare. Forse perché per la prima volta ho un romanzo da abbozzare (il secondo della trilogia distopica femminista alla quale sto lavorando), forse perché le stelle si sono allineate, ho deciso in modo abbastanza naturale di sfidarmi. Ecco gli accorgimenti che applicherò per resistere e sopravvivere durante questo mese per chi come me non sopporta il clima di competizione e i numeri che rimbalzano spesso tra i social delle persone che partecipano:

  1. NaNoWriMo sì, ma secondo le mie regole: l’idea che la produttività possa essere “one size fits all”, una unica taglia per tutte le persone, è francamente abilista e parte del pensiero capitalista. E visto che questi fanno parte degli “ismi” peggiori e che rigetto completamente questa mentalità, non baserò la mia sfida di novembre sul numero di parole scritte (che secondo le regole tradizionali del NaNo dovrebbero essere cinquantamila al mese, con una media giornaliera di 1667 parole scritte), ma sul numero di ore lavorative al giorno, quasi raddoppiando il tempo che già dedico alla scrittura e portandolo da tre ore di media alle cinque giornaliere. Contando che scrivere è un lavoro che stanca moltissimo mentalmente, credo che sia un buon numero di ore dedicato a questa attività, e per me è sicuramente una sfida stimolante.
  2. Silenzierò su instagram le stories di chi pubblica giorno per giorno il numero di parole scritte. Senza remore, senza pietà: non è nulla di personale; so già che non è qualcosa che mi fa bene e la mia salute, specialmente in un momento stressante come questo, quindi ciaone, ci vediamo quando finisce novembre, spero che il vostro mese vada bene, abbraccini.
  3. Limiterò la mia presenza sui social. So già che creare contenuti come al solito non sarà possibile perché vorrò concentrarmi al massimo su questa sfida e sul mio lavoro: per un mese continuerò ad esserci, ma meno di prima, per tornare invece a dicembre.
  4. Ascolterò ciò che mi dice il mio corpo. La mia salute ha la priorità: i ritmi che seguirò saranno molto più intensi rispetto a una normale giornata di lavoro per me, quindi è importantissimo che durante questo periodo io stia in ascolto attivo del mio corpo. Sfidarsi va bene, ma non fino a stare male fisicamente, psicologicamente o emotivamente.
  5. Mi affiderò all* mi* partners in crime: la bellezza di avere un gruppo di scrittura è che attraversi fasi molto simili dal punto di vista emotivo e psicologico. Fare una pausa un po’ più lunga tra le sessioni di scrittura per sfogare un po’ di frustrazione e per ricevere il e dare il sostegno di cui si ha bisogno fa bene a tutt*.
  6. Ignorerò attivamente la voce dentro di me che mi dice che devo arrivare all’obiettivo della giornata a tutti i costi. Darsi un obiettivo è qualcosa che può essere molto stimolante a volte e che altre può essere a tuo discapito. Questa non è una gara se non con me stessa, e anche solo iniziarla e impegnarmi in tutto questo significa vincerla. Rigetto completamente la mentalità tossica della vincita a tutti i costi e invece mi concentro su altro: sulla gioia di scrivere, sulla soddisfazione dopo la fatica, sul supporto di persone di cui mi posso fidare.

Ormai quando questo post (che sto scrivendo negli ultimi giorni di ottobre) sarà pubblicato, io avrò già iniziato a scrivere la prima bozza del seguito del mio romanzo. Mandami buone vibrazioni con un commento, se vorrai, perché mi sa che ce ne sarà molto bisogno!

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Come scegliere un’agenzia letteraria? La mia esperienza

Consigli, Scrittura

Se mi segui sui social (Instagram e/o Tiktok) ormai saprai bene che sto lavorando alla mia trilogia con la scout di un’agenzia letteraria e spesso mi viene chiesto, proprio per questo motivo, se ho consigli su come cercare, contattare e scegliere agenzia letteraria: certo che ne ho! Ti racconto proprio in questo articolo la mia esperienza di rifiuti e successi dalla quale ho imparato molto e potrai imparare anche tu.

Da dove partire?

Potrei dirti un’ovvietà ed esortarti a cercare “agenzie letterarie italiane” su google, ma non voglio insultare la tua intelligenza. Certo, si parte spesso da lì, ma probabilmente ci hai già pensato, giusto?, e ti sei trovat* di fronte una miriade di risultati che forse, invece di darti speranza, ti hanno un po’ scoraggiat*. Lo capisco, in fondo è un po’ ciò che ho provato anch’io all’inizio della ricerca.

Per evitare di cedere allo scoraggiamento ho agito su due fronti:

  1. Ho dato un’occhiata ai profili social di autori e autrici che conosco e che stimo per vedere se avessero mai parlato della loro agenzia o avessero il link/la menzione dell’agenzia in bio; ho inoltre controllato i frontespizi dei libri scritti da italian* per cercare eventuali menzioni dell’agenzia che rappresenta l* scrittor*. Non sempre si trova, ma può essere uno dei modi per trovarne di buone e soprattutto, visto che si parla di autori/autrici che stimi, di allineate con ciò che vorresti scrivere/che scrivi.
  2. Mi sono armata di pazienza e sono partita da qui: questo è il sito dell’Adali, l’associazione degli agenti letterari italiani. Non comprende tutte le agenzie, ma almeno è un ottimo punto di partenza visto che “si propone come organismo garante di professionalità e rispetto deontologico nei confronti degli agenti letterari associati e dei loro clienti.” Basta andare nella sezione nella quale è presente la lista di associati e il gioco è fatto. O meglio, il gioco è iniziato: sì, perché ora quello che devi fare è aprire il sito di ogni singola agenzia e controllare se faccia per te.

Come faccio a sapere se un’agenzia fa per me?

Io ho usato tre fattori per scremare un po’ la lista:

  1. Che tipo di autori/autrici rappresentano? Di quale genere sono i libri rappresentano di più? Di quale target di lettura? (Ci sono per esempio agenzie letterarie che si specializzano in libri per bambini!) Quali sono le case editrici con le quali i libri de* autor* che rappresentano pubblicano di più? E soprattutto: il progetto che voglio sottoporre all’agenzia rientra nelle loro corde?
  2. Che sensazione mi danno “a pelle”, dopo aver esplorato bene il loro sito, la sezione contatti e le loro pagine social? Che tipo di approccio hanno verso gli invii spontanei, verso l* esordient*?
  3. L’unico modo per proporre loro un progetto è attraverso una scheda di lettura a pagamento?

Nota: le schede di lettura

Nella ricerca dell’agenzia perfetta questo è un aspetto da considerare bene, quindi voglio aprire questa parentesi necessaria.

Che cos’è una scheda di lettura? È, molto in breve, una scheda in cui sono evidenziati i punti di forza e debolezza del tuo romanzo. Può essere uno strumento molto utile per essere sicur* che il tuo testo sia pronto o, in caso contrario, per avere delle note su cosa migliorare. Si tratta di un lavoro di analisi che è giusto pagare. Meno giusto trovo il fatto che certe agenzie mettono la scheda di lettura obbligatoria per avere l’opportunità di essere considerat* da loro in vista di una possibile rappresentanza. (Nota bene che pagare per avere una scheda di lettura non significa un’automatica rappresentanza!)

Come detto può essere uno strumento molto utile, e se il tuo scopo è capire su cosa lavorare meglio e su cosa invece puntare ti consiglio di considerare questa strada.

Personalmente non avevo bisogno di una scheda di lettura, né avevo i fondi per pagarne una o più di una (di solito partono dai 200 euro): a me interessava solo sapere se il mio progetto poteva interessare a un’agenzia per la rappresentanza, quindi ho scartato direttamente quelle che avevano una scheda di lettura obbligatoria e come unica modalità di invio spontaneo. (Questo, devo dire, ha assottigliato di molto la lista.)

Ok, ho sfoltito la lista, ora che si fa?

Ora, my friend, è tempo di sfoltirla ancora di più: consiglio di scegliere non più di cinque/sei agenzie alle quali mandare il tuo lavoro, e di assicurarti che soddisfino tutti i tuoi requisiti e ti ispirino fiducia. Non mettere le tue uova in troppi panieri, ma scegli pochi e buoni. Io, per esempio, ho inviato a sole tre agenzie la proposta per la trilogia alla quale sto lavorando.

Quando sei riuscit* a trovare quella manciata di agenzie alle quali affideresti senza battere ciglio il tuo lavoro, è il momento di preparare il materiale che ti servirà per la mail da inviare come proposta.

Preparazione all’invio

Attenzione qui perché ogni agenzia ha regole diverse! Studia bene la loro pagina contatti e segui alla lettera ciò che ti chiedono di inviare loro. Non lo sottolineerò mai abbastanza: se ti chiedono tre cose, allora tu invierai loro tre cose; non quattro, non tre e mezza: tre e basta. Tieni conto che queste persone ricevono una marea di mail come le tue: sii sintetic* e professionale, e non sforare mai per rispetto della persona che c’è dall’altra parte della mail.

Di solito le agenzie chiedono questi materiali, o qualche variazione sul tema:

  1. La tua biografia: dev’essere corta e informativa; lascia stare le banalità tipo “ho desiderato essere uno scrittore fin da bambino” o la sfilza di corsi e titoli di studio: concentrati piuttosto su ciò che ti rende interessante, cosa influenza la tua scrittura oltre a qualche informazione biografica pertinente.
  2. Un estratto del tuo testo: la lunghezza dipende molto da agenzia ad agenzia. Anche qui resta con precisione nel numero di battute, spazi compresi, indicate da loro.
  3. Una sinossi del tuo testo, che dev’essere raccontata in modo abbastanza analitico (evita come il demonio qualsiasi “auto-complimento” e giudizio personale sull’opera, per l’amor del cielo) e deve comprendere la fine. Non ti preoccupare degli spoiler: questo testo è solo per addett* ai lavori ed è quindi essenziale includere tutto. Anche qui resta nel numero di battute o cartelle indicato. Consiglio di fare diverse prove di sinossi fino a trovare una che resti in un tot di caratteri e che funzioni.

Importante è anche il testo della mail: tienilo corto, informativo e con qualche brevissima parola sul progetto che stai inviando, non serve molto, giusto per incuriosire visto che tutto il necessario sarà in allegato.

In questo post su ko-fi ho reso disponibile la cover letter, sinossi e biografia che mi ha permesso di essere contattata dopo pochi giorni dalla mia scout; è un contenuto a pagamento, disponibile anche con una donazione una tantum.

E la risposta?

Forse ti sorprenderà sapere che non tutte le agenzie rispondono, anzi, spesso non lo fanno. Ti consiglio di mettere una nota sul calendario a tot mesi dalla data di invio della mail per non stressarti troppo e/o controllare la mail in modo ossessivo (parlo per esperienza): se non avrai ricevuto risposta entro quella data, puoi avere la certezza che quello dell’agenzia è un rifiuto e puoi quindi metterti il cuore in pace.

Il minimo che ho visto indicato come tempo di risposta sono due mesi, il massimo sei mesi: varia da agenzia ad agenzia. Per contesto, io ho ricevuto la risposta della mia scout a due/tre giorni dall’invio della mail.

In bocca al lupo!

Ora che sei pront* non posso fare altro che farti un grande in bocca al lupo, perché in questo mestiere l’abilità è essenziale, ma a volte serve davvero una botta di culo.

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I corpi grassi nei libri- parte 1

Consigli, Inclusività, Scrittura

Qualche tempo fa ho pubblicato nelle mie stories di Instagram una riflessione su come ci sia una grande rarità di rappresentazione di corpi grassi nei libri. Ragionavo che è qualcosa di cui mi lamento spesso, ma che pur essendo una scrittrice non avevo mai considerato prima di quel momento che posso essere io il cambiamento, che posso fare la mia parte affinché ci sia più rappresentazione in un modo molto semplice: inserire personagg* grass* nelle mie storie.

Semplice, no? Hai inventato l’acqua calda, mi dirai.

Eppure prima di quel momento sono sincera se dico che la cosa non mi era nemmeno passata per la testa. Era come se non fosse per me nemmeno un’opzione. E nel momento in cui mi sono resa conto di questi ragionamenti che abitavano tra le righe dei miei pensieri, ho reagito con fastidio:

“Ma come”, mi sono detta. “Proprio io che sono grassa e mi lamento costantemente della scarsità di protagonist* grass* non ho mai nemmeno creduto che fosse possibile scriverne? La cosa non ha nessun senso.”

Ed è per questo, perché non ha nessun senso eppure è proprio così, che ho deciso di scrivere questa serie di post, in cui il fil rouge è appunto la rappresentazione dei corpi grassi in letteratura.

In questo primo post vorrei condividere le risposte che ho ricevuto alla box domande che ho messo nelle stories di instagram quando ho reso pubblico questa mia riflessione. Queste risposte sono, secondo me, un ottimo punto di partenza che può aiutare chi scrive, e vuole scrivere di corpi grassi, a capire di che cosa ha bisogno il pubblico, che cosa vorrebbe vedere e cosa no.

Ecco quindi cosa hanno risposto alle persone quando ho chiesto di continuare questa frase: “abbiamo bisogno di rappresentazione grassa, di leggere di persone grasse che”:

-intraprendano una quest epica;

-fluttuino nello spazio;

-combattano contro il male;

-salvino il culo a tutt*;

-guidino la ribellione contro i poteri forti;

-abbiano un ruolo importante;

-siano leader;

-non siano la solita spalla comica della protagonista e non siano il personaggio comico;

-non siano simpatiche, non facciano ridere, siano stronze;

-falliscano (e va bene così);

-si ficchino nei guai;

-non siano brave solo a cucinare;

-amino il cibo: dire di volere una fetta di torta non deve essere tabù;

-non siano definite unicamente dal loro essere grasse o in base al loro peso;

-non siano discriminate in base al loro peso;

-siano delle fortissime donne in carriera che amano ciò che fanno;

-non siano materne;

-siano personagg* fort*;

-siano in salute;

-non siano l’unica persona grassa del gruppo;

-siano desiderate e desiderino;

-siano oggetto di desiderio romantico e non perché belle dentro, abbiano successo in ambito sentimentale;

-abbiano relazioni di vario tipo e abbiano rapporti soddisfacenti, non per forza romantici;

-scopino un sacco;

-non si scusino d’esistere;

-non si sentano meno belle o brave;

-siano alla moda;

-facciano sport;

-abbiano successi sportivi;

-non siano sportive e atletiche e comunque vadano bene così come sono;

-non si facciano complessi per il peso;

-vivano la loro vita con gioia;

-siano serene;

-non abbiano bisogno di un’altra persona per sentirsi belle;

-possano vivere la loro vita in libertà;

-vivano la propria vita e stiano bene con se stesse, siano a proprio agio nel loro corpo;

-il loro corpo grasso sia descritto con aggettivi positivi.

E questo è quanto per oggi. Grazie di aver letto, ci vediamo nel secondo post della serie “I corpi grassi nei libri” con un mio ragionamento sulla rappresentazione della discriminazione dei corpi grassi nei libri: è mai ok? La risposta, come direbbero i peggiori titoli di articoli clickbait, ti sorprenderà. A presto!

Non dimenticarti di scrivermi un commento qui sotto se hai qualcosa da aggiungere al tema trattato oggi.

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Due grossi motivi per cui non mi piace il NaNoWriMo…

Consigli, Scrittura

…e uno piccolo per cui mi piace.

Tempo di lettura: 5,07 minuti

Novembre è un mese frenetico per chi scrive, si sa; già da ottobre (o meglio, Preptober) ci si comincia a preparare alla sfaticata che è scrivere un romanzo intero in un mese: è il famoso NaNoWriMo, ovvero National November Writing Month (novembre mese nazionale della scrittura), un’iniziativa benefica nata negli Stati Uniti che presto si è estesa a tutto il mondo, persino qui in Italia, e che invita i partecipanti a scrivere nel mese di novembre cinquantamila parole, che sarebbe un romanzo fatto e finito, mantenendo quindi una media di 1667 parole al giorno.

Nella mia bolla social la maggior parte delle persone che conosco e seguo partecipa, condividendo ogni giorno dei template nelle stories con il conteggio parole del giorno e immagini o citazioni che si riferiscono al loro work in progress, parlando dei temi e personaggi che stanno scrivendo, creando circoli di scrittura per darsi man forte a vicenda e creando contenuti con risorse per aumentare la produttività e scrivere meglio e di più (l’avevo fatto anch’io l’anno scorso: trovi qui il post).

Sono a conoscenza di questa iniziativa da circa tre/quattro anni, e ogni anno mi sono ripromessa di partecipare, ma c’era sempre qualcosa: non ne sapevo ancora abbastanza, non me la sentivo, oppure ero in fase di editing o revisione e non mi sembrava il tipo di lavoro adatto a questa iniziativa.

Solo quest’anno ho deciso coscientemente di non partecipare e ho capito che in realtà il NaNoWriMo non mi piace; non credo nemmeno che mi unirò i prossimi anni alle schiere di scrittorə che si fa il mazzo ancora di più in questo mese in particolare.

Ecco quindi due motivi per cui non mi piace il NaNo:

1. LA COMPETIZIONE, LA PRESSIONE SOCIALE (E SOCIAL).

Non sono contro una competizione sana: può davvero aiutare e motivarci a darci dentro. Tuttavia vedo una tendenza preoccupante, ovvero il “lottare” a colpi di numeri. Mi spiego meglio: per scrivere cinquantamila parole in un mese se ne dovrebbero scrivere ogni giorno 1667. Mi è capitato spesso di guardare i template con il conteggio parole di altre persone e sentirmi a disagio perché magari quel giorno in particolare, per vari motivi, avevo scritto di meno. E se prefissarci un certo numero di parole, battute o pagine da scrivere può essere un modo sano per porci degli obiettivi, la corsa a tutti costi al numero non lo è, specialmente se fatta per un confronto con altre persone.

Ecco cosa mi piacerebbe vedere durante Novembre: più persone che raccontano come scrivere quel giorno le ha fatte sentire, più festeggiamenti per aver raggiunto il proprio obiettivo giornaliero o settimanale (senza sentirsi per forza obbligatə a condividerlo) e meno numeri. I numeri lasciamoli alla contabilità, alla matematica, a tutte quelle cose lì coi numeri; noi scriviamo storie che vogliono fare emozionare, non testi di, uhm, numerologia (lol): ricordiamocelo in questo mese.

2. IL CONCETTO DI “VINCERE” IL NANO.

Il sito del NaNoWriMo incoraggia una gamification del processo offrendo “badges”, delle medaglie virtuali al valore da sfoggiare con lə propriə “buddies”, le persone con cui si vuole condividere il processo sul sito, che è quindi anche social, e in generale quando si riesce a completare la sfida scrivendo le agognate cinquantamile parole si può dire orgogliosamente di aver “vinto” il NaNo.

La tecnica della gamification e di avere un obiettivo comune possono essere efficaci per qualcunə, non lo nego (se lo sono per te, tanto meglio); tuttavia nel concetto stesso di “vincita” è insito quello di “perdita”: per fare qualche esempio, una persona che si è messa a scrivere ogni giorno ma che a malapena è arrivata a mille parole al dì, per esempio, “perderebbe” il NaNo con ventimila parole in meno di quelle richieste. Poco importa l’impegno che ci abbia messo, quanto difficile sia stato per lei ritagliare quel tempo ogni giorno, poco importa l’orgoglio di aver scritto, magari, molto più di quanto fa di solito.

Anche questo problema si riconduce ai numeri, ovviamente; più procedo nel mio percorso di scrittura, più mi rendo conto di quanto la qualità sia molto più importante della qualità. Tre parole pregne di significato valgono anche quanto mille buttate lì a caso. Il NaNo, però, sembra incoraggiare la quantità rispetto alla qualità, cosa comprensibile perché per scrivere un romanzo in un mese non si ha il tempo effettivo per riflettere su ogni parola, ed è anche giusto così: ci sono i momenti per scrivere di fretta, con l’acqua alla gola, e quelli nei quali si riesce a scegliere le parole una a una.

Tutto questo senza contare che molte persone per partecipare e “vincere” scrivono anche quando dovrebbero dormire, e in generale sacrificano momenti che potrebbero essere in realtà essenziali alla loro salute psicofisica. In una società che glorifica l’ammazzarsi (letteralmente) di lavoro e che venera la produttività al costo del benessere, non credo sia una buona cosa.

Ecco cosa vorrei vedere di più durante il NaNo: più consapevolezza riguardo ai propri ritmi e meno smania di vincere. Più ascolto delle proprie necessità in un periodo intenso, meno glorificazione del sacrificio a tutti i costi per il lavoro. Perché sì, è un lavoro.

Nonostante questi grossi problemi che ho personalmente con il NaNo riconosco che sia un’iniziativa ben organizzata e che può fare davvero bene a molte persone. In particolare, ciò che invece mi piace è:

1. IL SENSO DI COMUNITÀ E L’AIUTO RECIPROCO

Quest’anno, pur non partecipando, sto lavorando più intensamente alla riscrittura e immergermi nell’atmosfera di fermento del NaNo rimanendo all’esterno mi fa bene. In particolare trovo che lavorare assieme ad altre persone funzioni molto bene per me, quindi quando la mia amica Donnie mi ha proposto di unirmi a un piccolo gruppo di scrittura questo mese ho accettato con entusiasmo.

Siamo in cinque persone in totale e ci troviamo via video chat (a volte whatsapp, a volte meet) senza la pressione di esserci sempre o a tutti i costi e con invece la gioia di lavorare assieme e parlare dei nostri progetti che ci guida.

Spronarsi a vicenda, creare e rafforzare comunità, e aiutarsi: questi sono i valori che ho scoperto con questo gruppo di scrittura, assieme a una dimensione di condivisione e di rapporti interpersonali sana e motivante. Il NaNo dovrebbe essere più così, senza ansie sul numero di parole e riguardo la “vincita” o a causa della competizione. Semplicemente persone riunite sotto un unico obiettivo.

Hai mai partecipato al NaNo? Mi piacerebbe sapere che ne pensi, soprattutto se non sei d’accordo con me. Puoi scrivermi qui un commento o una mail, la trovi nella sezione contatti di questo sito.

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Ho scritto un libro, e ora?

Consigli, Scrittura

Questa è una delle domande più ricorrenti nei miei dm su Instagram: mettiamo che sei riuscitə a navigare le acque del worldbuilding, della creazione di personaggi credibili, della scrittura di descrizioni non troppo pesanti ma nutrite abbastanza per dare una mano allə lettorə, della costruzione di una trama con un senso logico e molto altro: e ora, che si fa?

Prima di tutto ti assicuri che il testo non sia una prima bozza: lo revisioni cercando incongruenze ed errori, magari lo fai dopo averlo fatto leggere a qualche beta reader.

Ora che hai la tua opera in mano puoi dire con certezza che il target sia quello giusto? Che il linguaggio che hai usato funziona? Che la persona, la focalizzazione e il tempo verbale usati sono quelli migliori per raccontare la tua storia? (Queste domande puoi fartele in qualsiasi fase della scrittura, anche e soprattutto prima di cominciare, ma se non ti è capitato di pensarci, puoi farlo anche dopo la fine della prima bozza.)

Adesso che hai davvero controllato il controllabile potrebbe essere finalmente giunto il momento di parlare di pubblicazione.

Ci sono due tipi di pubblicazione, entrambi validi ed entrambi con i loro pro e contro e modi per accedervi. Vediamoli assieme:

1) LA PUBBLICAZIONE IN SELF, O AUTOPUBBLICAZIONE

La pubblicazione in self è stata per molto tempo relegata a un ruolo secondario, spesso ritenuta di minore qualità rispetto a quella tradizionale, ma posso assicurarti, dopo aver letto diversi romanzi autopubblicati, che non è così. Se pensi che autopubblicare sia semplice quanto scrivere una prima bozza e caricarla su Amazon, è giunto il momento di cambiare mentalità.

Per pubblicare un prodotto di qualità è necessario per l’autorə investire in professionistə che possano aiutarlə a rendere il manoscritto adeguato alla pubblicazione: parlo di editor e correttorə di bozze, graficə che possano occuparsi di impaginare il libro e creare una copertina accattivante, persone che possano scrivere una quarta di copertina adatta che invogli il lettore ad acquistare proprio quel libro nella marea di libri pubblicati ogni giorno.

“Ma Giulia, io non posso investire in così tantə professionistə.”

Eh, manco io. Se ti consola, so di autorə autopubblicatə che riescono a fare molte di queste cose da solə dopo aver imparato tali competenze da autodidatta. So anche, però, che spesso l’entusiasmo di poter vedere il tuo libro pubblicato in qualsiasi modo sorpassa la voglia di fare tutte queste cose noiose e che spesso richiedono molto tempo. Quindi va bene schiaffare il proprio manoscritto su Amazon e sperare per il meglio?

BZZZ! OVVIAMENTE NO!

Davvero non vuoi dare la migliore possibilità alla tua creatura, il manoscritto su cui hai speso mesi, se non anni, della tua vita? Davvero ti accontenteresti di una copertina brutta o mediocre che non attirerebbe nessunə e di un testo pieno zeppo di refusi e incongruenze? E davvero ti aspetti da unə lettore che passi sopra tutto ciò e che comunque decida di leggere ciò che hai scritto, investendo il suo tempo prezioso in un prodotto che tu non hai voluto curare fino in fondo?

Ripetiamolo assieme: l’autopubblicazione è una cosa seria; se stai cercando una scorciatoia, questa non lo è. E ora che ti ho fatto la ramanzina passiamo ai

PRO E CONTRO DELL’AUTOPUBBLICAZIONE:

PRO:

Hai il controllo creativo (e non solo creativo) completo sulla tua creatura, che decida di fare tu tutto oppure che ti appoggi a professionistə.

La percentuale di guadagno è più alta rispetto all’editoria tradizionale.

Puoi decidere di modificare l’edizione in qualsiasi momento a tuo piacimento o di ritirare il libro se non vuoi che venga più letto, cosa che non puoi fare se sei legatə a un contratto con un’editore.

CONTRO:

Hai spese che nell’editoria tradizionale non avresti.

Se cerchi un modo per pubblicare che ti dia un certo prestigio, purtroppo questa potrebbe non essere la strada migliore visto che spesso, specialmente da chi non è del settore, è considerato un metodo “di seconda classe”, anche per via della quantità di manoscritti pubblicati negli anni senza cognizione di causa. La reputazione dell’autopubblicazione, in ogni caso, mi sembra in ascesa.

2) LA PUBBLICAZIONE TRADIZIONALE

Con questo termine si indica una pubblicazione con casa editrice, che sia piccola, media o grande poco importa (basta che non sia una ce a pagamento!).

Esistono due modi principali per farsi notare e quindi pubblicare da una casa editrice tradizionale: il primo è affidarsi a un’agenzia letteraria; le agenzie di solito hanno case editrici con le quali collaborano e delle quali conoscono bene la linea editoriale. In poche parole un’agente sa bene quali ce possono essere interessate a un testo come il tuo e non sparano nel mucchio; inoltre possono aiutarti a negoziare contratti e anticipi migliori. Gli agenti letterari solitamente chiedono il 15-20% di ciò che guadagni tu dall’anticipo e dalla vendita delle copie. Per avere un’idea di qualche agenzia puoi partire da qui, l’Associazione degli Agenti Letterari Italiani. Non tutte le agenzie che contano fanno parte dell’associazione, ma è un buon punto di partenza per familiarizzare e fare qualche ricerca.

Il secondo modo è proporre il manoscritto direttamente alle case editrici; hai la tentazione di mandare il tuo lavoro a tutte le case editrici che conosci?

BZZZZ! NON SI FA!

Sparare nel mucchio non ti porterà mai a buoni risultati. Parti con una ricerca approfondita delle case editrici che pubblicano romanzi simili per genere, target e tematiche a ciò che hai scritto: studia per bene, insomma, la loro linea editoriale (se hai scritto un romanzo rosa young adult non è proprio una mossa intelligente mandarlo a Il Saggiatore, per dire: sprechi il tuo tempo e quello delle persone che riceveranno la mail); poi controlla che accettino l’invio spontaneo di manoscritti e segui alla lettera le istruzioni (a nessunə piace chi fa di testa propria e ti manda, per esempio, il manoscritto intero invece delle prime dieci cartelle richieste).

PRO E CONTRO DELL’EDITORIA TRADIZIONALE

PRO:

Nel momento in cui riesci a farti considerare da un editore tradizionale, non devi preoccuparti di pagare tu l’editing, la commissione di copertina, la grafica, eccetera.

L’editoria tradizionale continua a essere più prestigiosa e accettata dal punto di vista sociale.

CONTRO:

In percentuale, i guadagni sono ridotti rispetto all’autopubblicazione.

Spesso non puoi scegliere il titolo o la copertina e in generale non sei tu in controllo.

Può essere difficile farsi notare e pubblicare, specialmente se sei esordiente.

MA QUINDI? COSA SCELGO?

Non esiste una strada unica per la pubblicazione; so di autorə che hanno scelto l’autopubblicazione per qualche progetto e l’editoria tradizionale per altri, per esempio. In generale ti consiglierei di informarti meglio (questo articolo è solo la punta dell’iceberg!) e di scegliere in modo consapevole ciò che è meglio per te e per la tua carriera.

In bocca al lupo e buon lavoro!

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Tu chiedi, Giulia risponde: trovare un gruppo di pari che scrivono

Consigli, Q&A, Scrittura

Tempo di lettura: 3 minuti

Tu chiedi, Giulia risponde è la rubrica di “posta della mente” per scrittorə in cerca di consigli empatici, onesti e collaudati.

Consigli su come trovare un “gruppo dei pari” per quanto riguarda la scrittura? -Vittoria @vittoria.batavia

I social in questo caso possono aiutarci molto, in particolare se gravitiamo attorno a profili Instagram con community forti; se ci pensiamo è piuttosto ovvio: è facile che una persona che segue quellə stessə content creator abbia delle cose in comune con noi: un modo per connettersi può essere, per esempio, dare un’occhiata ai commenti di un post che ci ha interessato e vedere se c’è qualcunə che ha scritto qualcosa con cui siamo d’accordo; da lì a rispondere a quel messaggio, eventualmente seguire quella persona e cominciare a interagire per condividere gioie e dolori della scrittura il passo è davvero breve.

Non dimentichiamo i gruppi Facebook: nonostante questo social si sia per lo più, purtroppo, trasformato in una cloaca di odio e disinformazione, i gruppi sono luoghi separati e spesso sono privati (ovvero necessitano di un’iscrizione approvata da amministratorə), con regole ben precise che riescono a prevenire, nella maggior parte dei casi, comportamenti tossici. Un esempio può essere il gruppo “Esploratori di storie” di Viola, legata alla sua newsletter di qualità sulla scrittura alla quale ti consiglio di iscriverti qui.

Non solo social, però: ci sono iniziative conosciute da moltə all’interno della writing community alle quali possiamo aderire e in questo modo cercare e trovare persone che partecipano come noi. Sto parlando del celeberrimo NaNoWriMo, ovvero National November Writing Month, un’iniziativa benefica che spinge chi vuole farlo a scrivere un romanzo intero (di minimo 50000 parole) in un mese. La grande forza del NaNo è la comunità e la solidarietà che si crea attorno: sul sito dell’iniziativa è possibile entrare a far parte di circoli di scrittura, gruppi Discord e conoscere altre persone che si sono gettate nell’impresa come noi, sia italiane che di altri Paesi. È qualcosa di estremamente motivante e le connessioni che si creano durante questa sfida sono basate sulla mutua comprensione di quanto possa essere difficile e soddisfacente impegnarsi nella scrittura.

Sono inoltre venuta a conoscenza di una nuova piattaforma dedicata a chi ama scrivere: Kepown. Ne so ancora poco e non ho avuto ancora modo di iscrivermi, ma sembra promettente. La mission è quella di raccontare “ciò che siamo stati e quello che siamo attraverso la scrittura digitale. Gli istanti della vita di ogni persona sono istanti della vita di qualcun altro. Un intreccio di valori umani e vite che non possono essere dimenticati. I Kepowner avranno la possibilità di tracciare le loro memorie nello spazio attraverso la geolocalizzazione dei loro capitoli e nel tempo assegnando ai capitoli la data esatta del racconto, così da creare la più grande rete digitale di storie vere.” Il progetto sembra insomma interessante.

In questo momento come non mai ci sono tantissime possibilità per trovare persone che scrivono al nostro stesso livello per creare un gruppo di supporto; tra forum, social e iniziative la scelta è davvero ampia. Ciò che dobbiamo ricordarci sempre è che il primo passo è sempre quello di metterci in gioco: non essere passivə negli spazi che occupiamo, ma interagire e aprirci; in questo modo facciamo sì che altre persone possano aprirsi di conseguenza e instaurare un vero dialogo.

Navigare questi spazi, specialmente se siamo appena approdatə su essi, può essere difficile, ma ne vale la pena. Ti posso testimoniare in prima persona che da quando ho trovato persone con cui parlare di scrittura che capissero davvero la mia “lingua” (e che si sorbiscono senza fare una piega i miei messaggi audio dal minutaggio illegale) il mio approccio a questo mestiere è cambiato radicalmente. Prima ero solo una tizia davanti a una tastiera, sola con i personaggi che abitavano la mia testa e i miei dubbi; dopo aver trovato persone affini e di cui posso blaterare dei miei problemi e delle mie euforie sono restata una tizia davanti alla tastiera, ma sento di essere supportata (e sopportata!) da una rete invisibile e forte. Spero che anche tu possa trovarne una.

Come al solito mi fa un enorme piacere sapere come ti è sembrato questo articolo e se ti è stato utile: fammi sapere la tua opinione con un commento o un messaggio su Instagram!

Spero di averti dato degli spunti interessanti, in bocca al lupo e alla prossima.

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