Coltivare un sano rapporto tra scrittor* e lettor*

Consigli, Scrittura

I social possono essere uno strumento essenziale per chi volesse scrivere ed essere lett* in questi ultimi anni: è un modo molto efficace per farsi conoscere ancora prima della pubblicazione e raggiungere un pubblico di lettor* senza la presenza di molti filtri. Tuttavia, se può avere molti pro, entrare a gamba tesa nel mondo dei social da scrittor* può anche presentare diverse sfide.

Quante volte abbiamo sentito di quell’autor* che su twitter ha risposto in modo molto piccato a un tweet di un utente che parlava dei suoi lavori? Quante polemichette sono nate su instagram o su tiktok che hanno come protagonist* un* scrittor* che si scaglia contro un* lettor*?

Personalmente in questo momento sono un po’ a metà tra i due mondi: sono una lettrice, ma sono anche una scrittrice in attesa di pubblicare; sono, a tutti gli effetti, in una posizione particolare che mi permette di osservare ciò che succede da una parte e dall’altra in modo piuttosto oggettivo, senza essere coinvolta emotivamente, e quello che vedo è una relazione in cui il potere è molto sbilanciato.

Chi scrive è l* creator*, chi legge fruisce di ciò che l* scrittor* ha creato: può fare sua l’opera, può avere degli headcanon e scrivere fanfiction, può criticarla o elogiarla ma alla fine dei conti resta una relazione che, messa su una bilancia, è sempre sbilanciata in favore di chi scrive. In tutto questo il ruolo dei social è accorciare le distanze, e le distanze accorciate in una relazione di questo genere possono essere fonte di problematicità che chi scrive (visto che è la persona con più potere nella relazione) deve assicurarsi di evitare a tutti i costi.

Ecco qualche consiglio per entrambe le parti, per coltivare un rapporto (più) sano. Ovviamente la parte dedicata a chi scrive sarà più nutrita proprio perché, essendo la persona con più potere in questa relazione, ha anche più responsabilità.

PER TE CHE SCRIVI: le opinioni negative di chi legge sul romanzo, su di te come scrittor*, sul genere che scrivi sono valide

Lo so, lo so: i tuoi romanzi, car* scrittor*, sono la tua prole. Dentro di essi hai riversato le tue ambizioni, le tue emozioni, i tuoi valori, le tue speranze, e dopo tanto lavoro ti devi pure sorbire la recensione a una stella del* signor* nessuno che si permette di criticare il tuo duro lavoro??

…ho una notizia per te: sì, è proprio così. Incassare fa parte di questo mestiere. Le recensioni negative, anche quelle più insensate, fanno parte di questo mestiere, perché non si può piacere a tutt* e al contrario tutt* hanno diritto alla loro opinione. Non significa ovviamente che quell’opinione, per quanto valida, sia la verità, ma tant’è.

La scelta corretta davanti a un’opinione negativa è solo una: decidere che questa non intaccherà la tua sicurezza e il tuo orgoglio nel lavoro che hai fatto, e ignorarla. Scrivi pure quel paragrafo pieno di insulti, ma non schiacciare invio; urla la tua frustrazione dentro a un cuscino o sfogati con persone fidate, non sui social; recita il tuo discorso infervorato in difesa della tua opera davanti allo specchio nel tuo bagno, non pubblicamente.

Lo so, lo so: non è per nulla facile. Ho ricevuto la mia dose di commenti negativi da quando mi sono presentata sui social come scrittrice: da chi, senza nemmeno aver letto nulla di mio, mi ha detto che non posso chiamarmi in questo modo, ai commenti spiacevoli sulla mia scrittura. Quando dico che lo so, è perché lo so. E spesso non è nemmeno facile scrollarsi di dosso tutto questo, spesso ti resta attaccato come pece e te lo porti con te nonostante tu non lo voglia.

Ma in nessun caso questa frustrazione, rabbia, delusione, amarezza e tristezza, per quanto valide e comprensibili, devono essere riversate sul lettor* che quei commenti te li ha fatti. E sai perché? Perché queste cose vengono fuori. L* lettor* parlano tra di loro, fanno rete, sono solidali. E se hai dei comportamenti problematici nei loro confronti, questo si traduce in un ritorno negativo di immagine non solo su di te come persona ma anche sui tuoi libri, proprio quei libri che hai impiegato così tanto tempo a scrivere e che vorresti fossero amati.

Newsflash: una recensione negativa può anche far decidere a chi la legge di voler verificare in prima persona (e quindi leggere il tuo libro); un tuo comportamento problematico nei confronti di chi legge no: ti marchia.

PER TE CHE LEGGI: pratica l’empatia

Tu che leggi, come detto prima, hai il diritto sacrosanto di esprimere la tua opinione in modo libero e genuino. Ciò che ti chiedo è di esercitare un po’ di empatia quando lo fai: per esempio, non taggare mai la persona che ha scritto il libro che hai criticato aspramente. Considera anche una cosa: l* scrittor* che vorresti prendere in giro sui social perché ha scritto un libro bruttissimo è esordiente, emergente o indipendente? In casi come questi anche solo una recensione negativa può stroncare la sua carriera sul nascere. Le tue azioni hanno conseguenze: chiediti, vuoi questa responsabilità?

Insomma, ricordati che dall’altra parte di quelle pagine, per quanto terribili possano essere, c’è una persona in carne e ossa, esattamente come te, che ha impiegato tempo ed energie per produrre il libro che hai in mano. Se, dopo esserti ricordat* di tutto questo vuoi ancora scrivere quella recensione tagliente, non c’è nessun* che ti fermerà. In fondo anche le recensioni negative hanno il loro posto nel mondo.

Tu che ne pensi?

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Come comunicare da scrittrice sui social?

Consigli, Scrittura

Sono sui social da parecchio tempo, ma ho cominciato a pubblicare contenuti su libri e scrittura e posizionarmi come scrittrice da circa tre anni; con questa decisione, quella di “metterci la faccia”, è arrivata anche la scelta su come comunicare e comunicarmi.

La mia parabola, il mio character arc, se vogliamo, di persona che tutti i giorni si fa vedere sui social con contenuti più o meno leggeri o impegnati, è stata abbastanza tipica: inizialmente mi sentivo un po’ rigida, non ero abituata a essere dall’altra parte dello schermo e facevo fatica a mostrarmi e parlare; poi, negli anni, la mia comunicazione è diventata sempre più naturale e io mi sono fatta vedere in maniera sempre più completa. Nulla di nuovo, forse: credo che chiunque, quando inizia, si senta un po’ un pezzo di legno; oggi però non voglio parlare di banalità stile “devi scioglierti, vedrai che pian piano ce la fai”, ma di linguaggio: sono una scrittrice in fondo, le parole e come le usiamo sono il mio pane quotidiano.

Il linguaggio che uso sui social si è modificato di pari passo con la mia trasformazione e man mano che mi sentivo a mio agio “davanti alla telecamera”, ma è importante notare che il linguaggio e il “tono” che usavo all’inizio erano un diretto riflesso di ciò che pensavo di dover usare come scrittrice sui social e nella vita per essere presa sul serio, per essere credibile, insomma, nella mia posizione improvvisamente molto pubblica.

Complice anche l’università, prima di approdare sui social (e per qualche tempo anche durante) pensavo di dover parlare in modo sempre corretto, senza espressioni gergali o abbreviazioni, con una punteggiatura immancabilmente ineccepibile, senza sbavature e imperfezioni: insomma, credevo di dover comunicare nei social ogni giorno come se dovessi dimostrare che sì, so scrivere, credetemi, lo potete vedere proprio dai miei post e le mie stories su Instagram.

La questione della credibilità come scrittrice è una che mi sta parecchio a cuore, e della quale ho parlato diverse volte sui social: che cosa mi dà il permesso o meno di chiamarmi scrittrice? Da chi devo ricevere l’approvazione per osare farlo? Che cosa può far dire a chi mi giudicherà “sì, questa è proprio una scrittrice”?

E no, non scrivo sui social come scrivo i miei romanzi: sarebbe abbastanza assurdo, in fondo, prendere una mia story su Instagram e credere che possa rappresentare davvero un buon esempio di ciò che significa leggere una mia storia. Stessa cosa per questi articoli sul blog: esistono diversi tipi di scrittura, è un semplice dato di fatto.

Insomma, più comunicavo in maniera così pubblica e social, più mi rendevo conto che se avessi continuato a parlare in modo perfetto, senza le sbavature, imprecazioni o coloriture tipiche della mia parlata “normale”, avrei continuato a dare un’immagine non veritiera di me.

Non solo: più andavo avanti, più mi accorgevo che quello standard, quello che pensavo mi avrebbe reso “credibile”, qualsiasi cosa significhi, era uno che veniva ed era riconosciuto come tale da rinsecchiti accademici boomer, ammuffiti nelle loro convinzioni arcaiche, e che la comunicazione da social è e deve essere molto diversa dalla scrittura di un romanzo; infine, che non ho nulla da dimostrare, perché i miei lavori parleranno per me.

Le storie che voglio raccontare non sono per chi crede che questo standard sia giusto, o per chi mi darebbe approvazione solo se parlassi in modo forbito: quindi perché farlo? Che senso ha? Non è meglio parlare in modo più naturale, essere me stessa e mostrare chi sono per davvero in modo da attrarre le persone giuste?

Credo che qui in Italia ci sia ancora parecchia strada da fare: l’immagine degli scrittori/le scrittrici/l* scrittor* è ancora molto da svecchiare, perché ancorata appunto a quegli standard che non possono che essere deleteri per chiunque voglia approcciarsi a questo mondo da una parte, cioè quella di chi scrive o vorrebbe scrivere, e dall’altra, di chi legge.

Quindi sì, questa scrittrice scrive in modo colloquiale sui social, usa le abbreviazioni e gli acronimi, fa errori di battitura (perché ha poco tempo e rileggere tutto mille volte per essere sicura ruba tempo ed energie) ed è, soprattutto, umana. E va benissimo così. Preferisco che sia la mia umanità a parlare, piuttosto che una versione ingessata di me confezionata per chi comunque non mi darebbe la sua approvazione.

Questa non è la prima volta che parlo di tutto questo, ma è un argomento di cui ho sempre cose da dire e in questo articolo ci sono diversi spunti che vorrei approfondire: fammi sapere se ti interessa nei commenti!

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