La storia di Melusina, la donna-serpente

Letterature Strane

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Molte figure femminili affascinanti sono state inventate nel tardo Medioevo nel tentativo di comprendere, raffigurare e reinventare la donna, ma nessuna è passata alla storia come Melusina (o Melusine), che ha catturato l’immaginario occidentale per ben cinquecento anni e che è nata dalla penna di Jean D’Arras.

Chi era Jean D’Arras e cosa scrisse?

Non si sa molto di questo scrittore francese; di sicuro c’è che tra il 1387 e il 1394 scrisse Le Noble Hystoire de Lusignan (la nobile storia dei Lusignan). La raccolta di racconti in prosa, redatta sotto richiesta di Giovanni II duca di Berry (tutore del re Carlo VI di Francia), era pensata per apparire una collezione di storie raccontate dalle donne mentre filavano la lana e contiene l’opera originale in prosa Roman del Mélusine la cui storia, creata a tavolino da D’Arras, si lega alle origini della famiglia Lusignan, dando alla casata un’aura di importanza e di leggenda.

Melusine

D’Arras creò Melusine da un intreccio di leggende latine, celtiche e locali e basandosi sui racconti di agenti demonici che apparivano umani ma che vivevano vite eterne come divinità e che a volte scendevano tra gli umani sotto forma di donna.

Melusine nasce da sua madre Pressyne e suo padre Elynas, il re di Scozia. Quando Elynas viola la promessa che ha fatto alla moglie di non entrare nella stanza mentre lei e le figlie si stanno lavando, lo lascia e scappa ad Avalon, l’isola perduta delle fate, dove Melusine cresce con le sue due sorelle Melior e Palatyne.

A quindici anni Melusine chiede a sua madre perché sia cresciuta lì e, dopo aver scoperto che suo padre ruppe la promessa, si vendica di lui imprigionandolo in una montagna. Pressyne ne viene a conoscenza e punisce la figlia dandole l’aspetto di un serpente (in altre storie seguenti di pesce) dalla vita in giù ogni sabato per il resto della vita.

Quando Melusine incontra e accetta di sposare Raimondo di Poitou gli fa promettere, come sua madre aveva fatto a sua volta, di non entrare nelle sue stanze di sabato. Indovinate cosa succede? Esatto, Raimondo rompe la promessa e, dopo essere chiamata serpente in fronte alla corte, Melusine ne ha abbastanza: assume le forme di un drago e vola via, lasciando per sempre quel luogo.

Ma da dove viene l’idea della donna-serpente?

Dea dei serpenti al palazzo di Knossos, c. 1600 B.C.E., alta 29.5 cm (Archaeological Museum of Heraklion, foto: Zde, CC BY-SA 4.0)

Quindi Melusine è per metà serpente. Lo so a cosa state pensando in questo momento: a Eva e “Sir Biss”. Ebbene, l’associazione di questo animale alla donna non è esclusiva della Bibbia, anzi ha origini ben più profonde, in tempi in cui il serpente non era il proxy del diavolo (che comunque, ricordiamolo, è un’invenzione del Cristianesimo).

Ancora prima della nascita delle religioni monoteistiche, nelle ere preistoriche era molto comune l’adorazione di una dea, per il semplice e logico fatto che, siccome le donne generano la vita, doveva essere per forza una divinità femminile ad aver creato il mondo. Questa dea aveva nelle società antiche forma prevalentemente serpentina o di drago (quindi anche dotata di ali), in generale di rettile, che rappresentava il rinnovamento e il trionfo della vita ma al tempo stesso simboleggiava anche la morte in un continuum tra nascita, morte e rigenerazione; era insomma il simbolo del cerchio della vita. “È una giooostra che va, questa vita cheee gira insieme a noi!”

Poi arrivarono le religioni monoteistiche e patriarcali come l’Ebraismo, l’Islamismo e il Cristianesimo: la dea rettile diventò il nemico da sconfiggere e il serpente, suo animale per eccellenza, fu invertito a simbolo del male e della tentazione: hey, la vuoi una mela?

Tradizioni e credenze così profonde, tuttavia, sono difficili da cancellare, quindi si possono trovare certi elementi di questo culto persino nelle religioni monoteistiche e nelle leggende come, appunto, quella di Melusine.

Rielaborazioni della leggenda

La storia di Melusine è riuscita a catturare i lettori e i creativi (scrittori, pittori,…) fin dalla sua comparsa, con molteplici variazioni sul tema, e continua ad affascinare anche in epoca contemporanea.

Manuel Mujica Láinez, per esempio, fa raccontare a Melusine la sua storia dalla sua maledizione originaria alle Crociate in El unicornio (1965); Goethe rielabora la storia nella sua fiaba La nuova Melusina; John Keats la riprende nel suo poema La Belle Dame sans Merci, dove Melusine non è chiamata per nome ma si può riconoscere nella sua forma più crudele (senza pietà), e in Lamia, dove Ermes permette alla donna, intrappolata nella sua forma di serpente, di ritornare alle sue fattezze umane.

Nel romanzo Possessione di S. Byatt (1990), ambientato in parte ai giorni nostri e in parte in epoca vittoriana, due accademici studiano la storia d’amore tra i poeti fittizi Randolph Henry Ash e Christabel LaMotte: il grande poema di quest’ultima è proprio una riscrittura del Roman de Mélusine.

La leggenda è riportata anche in Nadja di André Breton (1928), dove la protagonista si sente affine a Melusina e si rappresenta come una creatura per metà donna e per metà pesce.

Melusina ha assunto molti volti e molte sfumature diverse nei secoli; da desiderabile fata dell’acqua a spirito, soggetto di un amore tragico e donna-demone, rappresenta la femminilità osservata dal male gaze che si rifiuta di vederla in altro modo che non sia irraggiungibile, misteriosa, a tratti pericolosa e intrigante.

A me piace pensare a Melusina come creatura simbolo della potenza e dell’emotività della donna in un mondo che la teme e che per questo la rappresenta in modo errato. D’altra parte a chi non piacerebbe, dopo che i propri limiti sono stati ignorati e violati, alzare gli occhi al cielo, dire “byeee” e volare fuori dalla finestra in tutto il suo splendore di donna-drago?

Sitografia

Melusina, Wikipedia

G. M. E. Alban, Melusine the Serpent Goddess in A. S. Byatt’s Possession and in Mythology

J. Shaw, The Tale of Melusine in A. S. Byatt’s Possession: Retelling Medieval Stories

J. W. Goethe, La nuova Melusina

Jean D’Arras, Treccani

S. G. Nichols, Melusine Between Myth and History, Profile of a Female Demon

Letterature Strane: libri rilegati in pelle umana

Letterature Strane

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Quando pensiamo a libri rilegati immaginiamo forse delle biblioteche poco illuminate che conservano antichissimi manoscritti dalle pagine consumate piene di segni esoterici e formule magiche. La realtà, purtroppo, è più prosaica…ma non meno orrida!

Partiamo dalle basi: la pratica di rilegare i libri in pelle umana ha un nome, ovvero bibliopegia antropodermica (se lo dite dieci volte di fila veloce veloce sappiate che rischiate di evocare un demone), e il periodo di maggior diffusione di libri coinvolti in questa pratica non è, come forse si potrebbe erroneamente pensare, il Medioevo, ma il diciassettesimo Secolo.

Appare un esemplare all’Università di Harvard che crea scalpore

L’argomento ha suscitato particolare curiosità nel 2004/2005, quando è stato confermato che un volume della biblioteca di Harvard è stato rilegato in pelle umana. Il libro in questione è Des destinées de l’âme (Dei destini dell’anima) di Arsène Houssaye, letterato francese e direttore della rivista L’Artiste dal 1843, e anche prima della conferma c’è sempre stato un sospetto sul materiale della rilegatura.

Heather Cole, Assistant Curator of Modern Books and Maniscripts della biblioteca, ha rivelato che all’interno del libro stesso è stata trovata una nota in francese di un tale dottor Ludovic Bouland che riporta senza mezzi termini: “Un libro sull’anima umana meritava di avere una rilegatura umana: ho conservato questo pezzo di pelle umana preso dalla schiena di una donna” e “Questo libro è rilegato in pergamena di pelle umana sulla quale non è stato stampato alcun ornamento per preservarne l’eleganza”. Eleganza extravaganza al suo massimo, insomma. (Se capite da dove viene questa citazione consideratevi automaticamente amici miei).

La donna in questione? Una paziente con disturbi mentali morta di ictus. Chissà se è stata contenta della fine che ha fatto la sua schiena! Io scommetto di no.

Questo non è stato comunque l’unico libro simile in possesso del dottor Bouland: grande estimatore del genere, ha anche rilegato un manoscritto del sedicesimo secolo che trattava della verginità femminile. Lo potete vedere nella foto che segue:

Foto tratta dall’articolo di Vice “Let’s Talk About Binding Books with Human Skin” che raffigura il manoscritto seicentesco rilegato in pelle umana dal dottor Bouland nel diciannovesimo secolo

Sì, ma come hanno confermato che è pelle umana?

Gli studiosi hanno utilizzato una tecnica chiamata PMF, o peptide mass fingerprinting, che, oltre a essere più affidabile del test del DNA, in sostanza spacca le proteine analizzate (nel nostro caso quelle del campione prelevato dalla rilegatura) in frammenti più piccoli chiamati peptidi. A quel punto le loro masse possono essere misurate e si possono comparare ad altre sequenze proteiche o perfino genomi, riuscendo quindi a identificare con certezza di che origine sia tale proteina. Qualcuno ha detto scienza? Ecco, sappiate che non ne troverete molto altra in questo blog. Passiamo ad argomenti più consoni a noi amanti della letteratura, vi va?

Un’immagine in tempo reale di me ora che ho scritto questo paragrafo scientifico.

Esiste a tal riguardo un progetto chiamato The Anthropodermic Book Project che ha come scopo l’esaminare i testi presumibilmente rilegati in pelle umana. Sembra che finora ne abbia controllati trentuno su cinquanta e che di questi diciotto sono stati confermati essere di pelle umana mentre gli altri tredici avevano una rilegatura in pelle animale.

Qui sotto un video nel quale viene estratto un campione che poi sarà analizzato per confermare se il libro in questione è stato rilegato di pelle umana (spoiler: sì). Anche se è in francese godetevi il video e ammirate quanto normale sembri la rilegatura. Chi l’avrebbe detto che era la pelle di una persona, un tempo?

I “donatori” di pelle e le ragioni

La questione più spinosa da affrontare è quella del consenso: le persone la cui pelle ora adorna libri quali il Des destinées de l’âme dell’Università di Harvard sapevano che fine avrebbero fatto da morti? Hanno dato il loro benestare a riguardo? Ecco, la cosa non è poi così semplice, purtroppo. Basti pensare che il consenso relativo alla donazione di organi è un concetto relativamente recente e che nel diciannovesimo secolo era pratica abbastanza comune, anche se illegale, “rubare” cadaveri per studiarne l’anatomia.

Secondo la dottoressa Lindsey Fitzharris, esperta del campo, ci sono tre ragioni per cui rilegature simili venivano create, e tali ragioni sono connesse con la volontà o meno del donatore di finire letteralmente in un libro.

La prima ragione è una sorta di punizione aggiuntiva per criminali efferati nel Regno Unito che, oltre alla forca, a volte erano dissezionati pubblicamente. Un esempio è il Burke Poketbook, rilegato con la pelle del serial killer di cui porta il nome.

Un secondo motivo era perché libri rilegati in pelle umana erano considerati oggetti da collezionisti, e qui rientrano i libri del carinissimo dottor Bouland che abbiamo citato sopra, oltre che libri dai contenuti medici rilegati in questo materiale perché, voglio dire, why not? Rubacchi un cadavere da un cimitero per studiare anatomia e già che ci sei usi la pelle per foderare il tuo manuale. Mi sembra perfettamente logico e in un’ottica zero waste. Anche qui consenso zero, ovviamente.

Il terzo motivo è che a volte era fatto per ricordare il defunto. Immaginate di avere un quadernetto rilegato con la pelle di nonno: sembra quasi di averlo lì con voi! (Troppo macabro? Avete ragione, faccio scendere il mio cinismo del 20%, scusate!)

“Da grande voglio essere un libro!”

Un esempio davvero affascinante del motivo “memoriale” è lui, il “Narrative of the Life of James Allen, alias Jonas Pierce, alias James H. York, alias Burley Grove, the Highwayman, Being His Death-bed Confession to the Warden of the Massachusetts State Prison” (= “Narrazione della vita di James Allen, alias Jonas Pierce, alias James H. York, alias Burley Grove, alias il Bandito, come confessione sul suo letto di morte al guardiano della prigione di stato del Massachusetts”). Sì, lo so, è un titolone.

Copertina del “Narrative of the Life of James Allen, alias Jonas Pierce, alias James H. York, alias Burley Grove, the Highwayman, Being His Death-bed Confession to the Warden of the Massachusetts State Prison“, immagine tratta dall’archivio digitale dell’ateneo di Boston.

Sulla copertina, che vedete qui sopra, la scritta in latino “HIC LIBER WALTONIS CUTE COMPACTUS EST” ci conferma che la pelle era davvero di Walton (uno dei tanti nomi di Allen).

Questo libro è molto particolare, perché racconta la vita dell’uomo la cui pelle ha rilegato poi il volume.

Il caro James Allen nacque nel 1809 e a soli quindici anni si diede allegramente al crimine, in particolare a quello che è chiamato “highway robbing”, ovvero rapine nelle strade principali (per questo era conosciuto come Highwayman), e saltò per tutta la sua vita dalla strada alla prigione. Morì di tubercolosi nella prigione di stato a Charlestown, in Massachusetts, ma prima chiese al guardiano di trascrivere la sua biografia e, soprattutto, chiese che alla sua morte fosse prelevata abbastanza pelle per rilegare due copie delle sue memorie.

Ma perché due copie, vi chiederete? Perché Allen voleva regalarne una al suo dottore, e l’altra a un tale John Fenno Junior, che il criminale considerava l’unico uomo che si fosse mai opposto a lui. Sono sicura che siano stati dei doni graditi!

Che dire, volevo scrivere un articolo un po’ orrido per la settimana di Halloween…credo proprio di esserci riuscita. Ora non guarderò più la pelle delle mie mani allo stesso modo.

P.s.: se volete leggere altro sul tema vi consiglio il  Religatum de Pelle Humana di Lawrence S. Thompson, che potete sfogliare per intero qui. Una quarantina di pagine intriganti e piene di esempi!

Sitografia:

Peptide mass fingerprinting, Wikipedia

Simon Davis, Let’s Talk About Binding Books with Human Skin, Vice, 13/1/2015

Ian Chant, The True Story of Medical Books Bound in Human Skin, 1/6/2018

Heather Soul, Harvard scientists confirm Arsène Houssaye book is bound in human skin, The Indipendent, 6/6/2014

Lindsey Fitzharris , Under the Knife episode 5, Human Skin Books, Youtube, 22/1/2015

Anthropodermic bibliopegy, Wikipedia

James Allen (highwayman), Wikipedia

Boston Athenaeum Skin Book, Atlas Obscura

Letterature Strane: il manoscritto di Voynich

Letterature Strane

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Ci sono pochi libri avvolti in un’aura di leggenda come il manoscritto di Voynich: senza autore, titolo, data, o capitoli è considerato il testo più misterioso e strano della storia, e dalla sua comparsa ha suscitato sensazioni di meraviglia e di curiosità in coloro che sono venuti a conoscenza della sua scoperta.

Immagine del manoscritto di Voynich tratta dal sito Messy Nessy Cabinet of Chic Curiosities

Prima testimonianza e datazione

La primissima testimonianza della sua esistenza risale al 1580, quando l’imperatore Rodolfo II, grande appassionato di occultismo, acquistò il manoscritto da Edward Kelley e John Dee per la cifra esorbitante di 600 ducati. Vale la pena aprire una parentesi su questo affascinante duo, anche perché negli anni seguenti molti studiosi hanno azzardato l’ipotesi che fossero stati proprio loro a creare il manoscritto per truffare l’imperatore (ipotesi poi non confermata dall’analisi del manoscritto al radiocarbonio, che ha stabilito che il testo sia stato redatto tra il 1404 e il 1434/1438).

Immagine del manoscritto di Voynich tratta dal sito Messy Nessy Cabinet of Chic Curiosities

Kelley e Dee: un duo dinamico

Ma perché questa ipotesi? Perché Kelley e Dee avevano le mani in pasta in tutto ciò che riguardava la magia, l’occultismo, la divinazione, l’astronomia e l’astrologia, e conoscendoli non mi sembra poi così strano immaginarli davanti a un boccale di birra e a ridere dell’imperatore credulone che aveva appena regalato loro denaro a palate in cambio di un testo fittizio.

Edward Kelley (1555-1597), in particolare, fu un medium e truffatore di professione che millantava la capacità di evocare gli spiriti e gli angeli tramite la sua fedele sfera di cristallo, mentre John Dee (1527-1608), che si può considerare il mago Merlino dell’Inghilterra elisabettiana, inventò l’enochiano, la lingua degli angeli, e fu un matematico di grande fama. Forse fu grazie a questa sua reputazione che i due ebbero l’opportunità di saltare da famiglia nobile a famiglia nobile prima di avvicinare reali e imperatori. Certo è che i due entrarono nell’immaginario comune come gli archetipi degli occultisti e alchimisti ciarlatani (ho menzionato il fatto che Kelley sosteneva di aver scoperto la pietra filosofale?) e furono immortalati in moltissime opere letterarie: Lovecraft, per esempio, attribuì la paternità del suo Necronomicon a Dee.

L’alfabeto enochiano. Immagine tratta da Wikimedia Commons.

Da dove viene il nome?

Dopo essere stato acquistato da Rodolfo II il manoscritto passò di mano in mano fino ad essere acquistato nel 1912 dall’uomo dal quale prese il nome: Wilfrid Michał Voynich, nato Michał Wojnicz. Il nostro Wilfrid, un antiquario polacco, era in viaggio in Italia quando, passando per Frascati, ebbe modo di esaminare la collezione di libri antichi del monastero di gesuiti del luogo e ne acquistò trenta tra cui quello che diventò poi il manoscritto di Voynich, con la convinzione, condivisa da Rodolfo II, che il testo fosse da attribuire a Roger Bacon, frate francescano con la passione dell’occulto e dell’alchimia.

Immagine del manoscritto di Voynich tratta dal sito Messy Nessy Cabinet of Chic Curiosities

Il mistero del contenuto del manoscritto

Ma perché il manoscritto di Voynich è stato per così tanto tempo collegato alle arti oscure? La risposta è semplice se si dà un’occhiata al suo interno: oltre a una grafia incomprensibile che ha letteralmente fatto rischiare la pazzia a un professore che lo ha studiato (William Romaine Newbold dell’Università della Pennsylvania, che lo ha studiato dal 1919 sotto richiesta dello stesso Voynich), il testo presenta diagrammi cosmologici e astrologici, illustrazioni di erbari e immagini inspiegabili e bizzarre e, soprattutto, una grafia che non si è mai vista prima. Oltre al professor Newbold citato prima, innumerevoli studiosi tra cui linguisti, filologi, crittografi, paleografi e iconografi hanno nel tempo cercato di venire a capo al mistero di questo manoscritto, anche utilizzando tecniche all’avanguardia come programmi informatici di decrittazione per cercare delle corrispondenze tra i diversi segni e dare un significato a quello che ormai è un rompicapo che, forse, rimarrà tale.

Per voi che siete interessati a una visione più tecnica di queste analisi del testo vi consiglio di dare un’occhiata a questo articolo che ho trovato nel sito dell’Association for Computational Linguistics, e che spiega nel dettaglio cosa si sa finora delle lettere, delle parole, della struttura morfologica e della sintassi, o a quest’altro articolo che, tra le altre cose, spiega le affinità tra le parole e le sezioni di testo e ipotizza una correlazione tra testo e immagini. Attenzione però che entrambi sono in Inglese!

Non dovete credermi sulla parola quando parlo di questo testo come un rompicapo: oltre alle immagini che ho incluso vi consiglio di dare un’occhiata a questo video dell’Università di Yale (nella cui biblioteca è conservato il manoscritto); notate come sia impaginato in modo peculiare!

C’è anche chi crede di averlo decifrato!

Per ogni mistero ci sarà sempre lo studioso o anche il semplice curioso di turno che afferma di aver trovato la chiave per risolverlo, e il manoscritto di Voynich non fa eccezione, anche se tra tutte le teorie finora non ce n’è una che sia stata davvero accettata come credibile dalla comunità scientifica.

Nel maggio del 2019 l’Università di Bristol, con grande sicurezza, ha affermato che un suo ricercatore, Gerard Cheshire, avrebbe “avuto successo dove innumerevoli crittografi, studiosi di linguistica e programmi informatici avevano fallito”, identificando linguaggio e scopo del manoscritto: la sua teoria è che fosse un testo terapeutico redatto da delle suore per Maria di Castiglia, regina d’Aragona, e che sia l’unica testimonianza dell’esistenza di una lingua proto-romanza. Poco dopo che l’articolo di Cheshire fu pubblicato, tuttavia, ricevette dure critiche da parte di altri studiosi, tra cui la dottoressa Lisa Fagin Davis, esperta del Voynich, e sembra che l’Università di Bristol abbia ormai cancellato le sue dichiarazioni, facendo un passo indietro.

Per mettere tutto in prospettiva, la lingua proto-romanza che Cheshire ha dichiarato essere quella con cui è stato scritto il Voynich è una lingua ricostruita dagli studiosi che dovrebbe essere l’antenata delle lingue romanze, ovvero quelle che si sono evolute dal latino volgare tra il terzo e l’ottavo secolo, Italiano incluso.

Alfabeto voynichese, immagine di Wikicommons tratta dal sito Messy Nessy Cabinet of Chic Curiosities

Le ipotesi fantasiose non mancano, insomma, tra cui quella di un nostro connazionale, il geometra Giuseppe Bianchi che, appassionato di enigmi storici sosterrebbe che il manoscritto è una forma di proto-tipografia fatta con degli stencil, o quella decisamente più di trolliana materia che dichiara che il manoscritto è chiaramente un antico e perduto manuale di Dungeons&Dragons, il noto gioco di ruolo.

Per quanto mi riguarda la fascinazione che il manoscritto provoca in chiunque ne venga a conoscenza è in gran parte provocata da quella sensazione di essere di fronte a qualcosa di misterioso e occulto, qualcosa che forse è meglio rimanga irrisolto, anche solo per continuare ad alimentare la nostra immaginazione.

Sitografia:

Pagina Wikipedia su Wilfrid Voynich

Pagina Wikipedia su Edward Kelley

Pagina Wikipedia su John Dee

Pagina Wikipedia sul manoscritto di Voynich

Pagina Wikipedia su Ruggero Bacone

K. Knight, S. Reddy, What We Know About The Voynich Manuscript, Association for Computational Linguistics, Proceedings of the 5th ACL-HLT Workshop on Language Technology for Cultural Heritage, Social Sciences, and Humanities, pagine 78–86, Portland, OR, USA, 24/6/2011

M. A. Montemurro, D. H. Zanette, Keywords and Co-Occurrence Patterns in the Voynich Manuscript: An Information-Theoretic Analysis, Plos One, 21/6/2013

F. Knapp, Inside the Mystery of an Untranslatable 600 Year Old Book, Messy Nessy Cabinet of Chic Curiosities, 2/7/2020

F. Sindici, “Ho svelato la lingua segreta del manoscritto Voynich”, La Stampa, 7/4/2016 aggiornato all’8/7/2019

F. Cataluccio, Il manoscritto indecifrabile e il tafano, Il Post, 17/12/2018

V. Rita, È stato davvero decifrato il manoscritto Voynich?, Wired, 16/5/2019

E. Addley, University backtracks on disputed Voynich manuscript theory, The Guardian, 17/5/2019